Si chiama Mose, un sistema di dighe mobili a cui è affidato il compito di proteggere Venezia dal pericolo delle acque alte. Tale opera, costituita da 78 paratie mobili di 5 metri di spessore e la cui profondità cambia a seconda dei fondali, è stata progettata a difesa dei tre ingressi principali alla laguna: la bocca di Malamocco, di porto di Lido e di Chioggia. Il Mose, cioè Modulo Sperimentale Elettromeccanico, è stato concepito dall’équipe del Consorzio Venezia Nuova ed è stato già parzialmente installato in un tratto della laguna.

E’ costituito da un grande scafo, largo 32 metri e lungo 25, sul quale è stata incernierata una paratia mobile. Tale paratia, destinata a rimanere sott’acqua in condizioni di normalità, è pronta ad essere sollevata per sbarrare il flusso dirompente del mare. Al suo interno si presenta cava, ma viene riempita d’acqua quando deve alloggiarsi nel fondo marino e sparire dalla superficie visiva. All’approssimarsi dell’acqua alta, un sistema di pompe entra in funzione per svuotarla del tutto, e l’aria compressa, come per un palloncino, la solleva dal fondo con un’angolazione, rispetto il piano d’acqua, di 45°. Tali barriere scorrevoli sono incernierate in una base di calcestruzzo che contiene tutti i servizi e le strutture di collegamento tra tutti i 78 sbarramenti previsti.

La diga di Oosterschelde in Olanda, ultimata nel 1997, invece è costituita da due enormi porte ad arco di cerchio collegate a due cerniere che, come due compassi, ruotano per chiudersi elettronicamente all’aumento del livello del mare. Tale colossale marchingegno, ubicato nei pressi di Rotterdam, è gestito da una centrale computerizzata, estremamente sofisticata che si attiva autonomamente, non appena registrato il pericolo dell’innalzamento della marea. Ma proprio perché non attivato dalla mente umana (che in situazione di pericolo, potrebbe anche non rivelarsi saggia nella decisione di mettere in funzione i costosissimi dispositivi di sicurezza), si chiude solo al raggiungimento dei due metri esatti di aumento della quota del mare e non per un solo centimetro di meno.

Alcuni anni dopo l’inaugurazione si è verificato un innalzamento del livello dell’acqua che aveva messo in allarme tutta l’Olanda. Ebbene, il dispositivo elettronico non ha consentito la chiusura della diga mobile perché il computer aveva stimato un innalzamento di m. 1,99 e quindi inferiore al limite dei due metri registrati come soglia minima per la chiusura dei due ciclopici scudi bianchi.

Tale soluzione sembrerebbe avere messo il punto sul problema delle inondazioni in Olanda, ma in realtà non è così. Ingegneri e studiosi delle maree, sono perennemente impegnati al monitoraggio di ogni metro quadrato della nazione dei Paesi Bassi, il cui 40% è al di sotto di almeno 5 metri dal livello del mare.
Ma il problema mondiale del sovrariscaldamento della crosta terrestre, con il conseguente scioglimento dei ghiacciai polari, è una circo- stanza importantissima che gli olandesi cercano di tenere sempre presente, perchè sarebbe il primo stato ad essere sommerso dalle inondazioni. Pertanto, il perenne control-lo di tutto il territorio attraverso una rete di pompe idrauliche registra ogni variazione del livello dell’acqua anche in ragione del millimetro nella fitta rete di canali che delimitano i polders olandesi.

Tutto ciò comunque, non ferma la passione di questo popolo a costruire le proprie case sull’acqua, con i pali infissi nei sottofondi sabbiosi dei laghi, invasi artificiali di sfogo dell’acqua in esubero tra i campi. Le case con le loro piattaforme di legno galleggiano, insieme ai giardini e i pontili per le barche.

Ma l’esempio olandese, non è il solo.
Molte città che vivono in stretto contatto con l’acqua, sono diventate, in varie parti del mondo, uno straordinario laboratorio di esperimenti e di soluzioni innovative, per recuperare una più alta qualità anche della vita urbana: una sorta di riscoperta dell’acqua. La Biennale di Venezia, non a caso, ha dedicato un padiglione denominato “Città d’acqua” alla mostra di progetti di architetture sull’acqua e waterfront a cui hanno partecipato alcune città, tra queste, Amburgo, Atene, Bilbao, Delft, Genova, New York, Seul e Venezia con numerosi interventi, disegnati anche dagli architetti più famosi. La sfida di progettare sull’acqua e con l’acqua stimola la creatività di molti progetti- sti, perché l’architettura e lo sviluppo del waterfront, sono in modo crescente collegati al progresso economico e alla qualità della vita che comportano.

Ad esempio, Steven Hall e il paesaggista Michael Van Valkenburg, hanno progettato un impianto di trattamento dell’acqua situata all’interno di un vastissimo parco pubblico nel Connecticut: le costruzioni tracciano il disegno del progetto dei vari stadi di purificazione dell’acqua ed il parco stesso agisce come sistema naturale per la sua filtrazione.

Lo studio olandese MVRDV ha creato un prototipo di villa denominato “Quattro Villa” ad Ypenburg in Olanda, come risposta all’aumento del processo costruttivo di residenze private sui laghi. La “quattro villa”, elimina i sovraffollamenti sulle spiagge lacustri: i volumi sono costruiti su grandi piloni di calcestruzzo che includono le centrali di tutti gli impianti e il sistema di accesso ad ogni singola unità. Ogni villa possiede un patio insieme ad altre aree semi private situate al livello del lago.

Tanti comunque, sono i progetti e gli esperimenti degli architetti e, in continua evoluzione, è il pensiero di nuove soluzioni per migliorare la qualità degli spazi, talvolta risanando ciò che l’uomo ha purtroppo danneggiato nel tempo, ma anche proteggendo quello che invece, con tanta fatica e sacrificio ha conquistato, mosso sempre dalla passione per la sfida di costruire i suoi più grandi capolavori sull’acqua.

Maria Elena Fauci
è Architetto e Editor di “Aa”